La questione del rispetto reciproco nelle discussioni politiche

"Presentiamo gli ospiti della serata: l’on. Tizio, di xxx (primo piano sull’on. Tizio …sorriso e/o altro cenno di cordialità), l’on. Caio, di yyy (stessa reazione del primo), il Dott. Sempronio in rappresentanza del zzz, il collega Mevio del jjj…". E così via.

Tutti (possono essere due o sedici) sorridono serenamente, o comunque, se proprio non sorridono, ci rassicurano in qualche modo. Ecco, ci sentiamo confortati, all’inizio. Sembra di stare tra amici. Niente a che vedere con certe riunioni di affari in cui fin dall’inizio si capisce che tirerà una gran brutta aria tra i partecipanti. No: quelli seduti lì sono davvero dei gentiluomini, dei professionisti della parola, che con calma e precisione ci faranno capire fin nei minimi particolari i loro punti di vista.

Poi comincia la discussione. Parla il primo. Affronta il tema della serata e sembra che davvero, stavolta, capiremo tutto: è calmo, sicuro, chiaro nell’esporre i suoi concetti. Quasi non avvertiamo neanche quegli accenti che potrebbero irritarci se fossimo schierati dalla parte politica opposta alla sua; anzi, a sentirlo parlare ci viene quasi voglia di ripensare le nostre stesse posizioni, di cominciare a discutere con noi stessi. Sentiamo di non stare da nessuna parte, quando galleggiamo sul canotto sicuro dei suoi discorsi. Questa è democrazia, pensiamo. Vedi come è facile capirsi? Serenità, chiarezza, razionalità.

La parola, poi, passa a un altro. La sua voce, ancora abbastanza calma, tuttavia è già venata di quel risentimento che ci ricorda certe passate discussioni, finite in lite. È già un po’ dissonante, quella voce, è già aspra, promette guerra a chi ha appena parlato. Spezza l’incanto. Mentre il secondo sta parlando il primo lo interrompe. È irriconoscibile. "Io non l’ho interrotta, ora mi lasci parlare", protesta l’altro… Niente da fare. Quello che ci era sembrato un gentiluomo d’altri tempi ora non solo non vuol saperne di lasciare la parola a chi ce l’ha, ma grida. E l’altro grida più forte di lui, per imporre il proprio diritto a parlare. È già una mischia. La parola (se così si può dire) passa poi agli altri. Uno per uno, tutti si avvicendano nella lite. Mentre uno declama e l’altro gli strepita sopra, a volte ne arriva un terzo, che contrappunta il verso dei primi due con frecciate velenose che credevamo facessero parte di certi repertori riservati a schermaglie tra nuora e suocera.

La discussione prosegue in un tripudio di mani che fanno il gesto di zittire, di dita puntate minacciosamente contro l’avversario o che si congiungono in un cerchio che vorrebbe rappresentare precisione e rigore ma che diventa un gesto indecifrato, di voci accavallate le une sulle altre che sentono solo se stesse, di accuse reciproche sparate come razzi che neanche illuminano la notte. Poi, la fine. La trasmissione si chiude. Il conduttore è convinto, e noi con lui, che la discussione abbia contribuito a far chiarezza sull’argomento… In realtà non è successo niente. Niente che possa incidere realmente sulle idee di chi ha assistito all’infelice tafferuglio.

Ma varie cose ci colpiscono duramente. Innanzitutto il tono, che, al di là delle grida, è sempre - e quasi obbligatoriamente - acido, piccoso, vagamente isterico. Gli stessi uomini e le stesse donne che, quando non parlano con un avversario o di un avversario, sono personaggi gradevoli, arguti, simpatici, umani, nel fervore della ‘battaglia politica’ assumono il tono dell’insegnante fastidioso e antipatico; gli stessi che, in altre occasioni, hanno un modo di fare accogliente, amico, nell’impeto del combattimento scandiscono le loro idee in modo cantilenante, ossessivo, severo, ma della severità di un genitore brontolone e sdegnato che stigmatizza, redarguisce, biasima i vizi di un figlio ripudiato.

Un’altra cosa colpisce duramente, e un po’ ferisce, chi ascolta. Spesso all’avversario si fanno domande, ma mai gli si fanno domande con lo scopo di capire, sapere, chiarire. Le domande sembrano solo un mezzo per dichiarare, e non un chiedere per sapere. Già è difficile, di norma, venire a capo del senso compiuto delle risposte, spesso intrise di salti logici e di astuzie dialettiche, ma la cosa diventa impossibile quando chi ha fatto la domanda si risponde da solo prima ancora che l’altro finisca la sua risposta, e talvolta prima ancora che cominci a darla.

La terza cosa che colpisce duramente è che, per confortare la propria tesi, si confondono in un unico sandwich dialettico aspetti razionali, etici e politici dell’argomento trattato. All’avversario si rimproverano idee e comportamenti tanto irrazionali (cioè, un po’ scemi) quanto furbastri e truffaldini (cioè, di un’astuzia che è il contrario dell’idiozia denunciata prima), tanto cattivi e moralmente spregevoli quanto ebeti e autolesionistici, anzi suicidi. Insomma, l’avversario è, contemporaneamente, un idiota irrecuperabile e uno stratega sopraffino in grado di raggirarci tutti quanti. In sostanza, una vera meraviglia della natura.

Questo tiro incrociato, purtroppo, non risparmia nessuna parte politica. Ed è raro che qualcuno riesca ad astenersi dall’esercitarlo. Qualcuno c’è, per fortuna. Ma in gran parte dei casi il tono isterico-piccoso, le domande-con-risposta-incorporata e la tesi dell’astuzia machiavellica intrisa di cretinismo patologico sembrano essere la vera chiave del dialogo politico, il fondamento stesso dell’idea di democrazia. Quei personaggi non si accorgono di non essere liberi, di essere prigionieri di un comportamento predefinito e coatto, si essere vittime di una forza negatrice, della Forza-Vampiro.

Quella in cui cadono è una trappola che presuppone una visione illogica del mondo e dei rapporti tra le intelligenze. "La colpa è vostra se…La verità è un’altra, la verità è che siete stati voi…". La verità è sempre un’altra, la colpa è sempre degli altri… Questa è la Forza-Vampiro. Questo è il predatore mentale che non consente libertà di sentire, di dialogare, di usare l’intelligenza per confrontarsi serenamente, senza sentirsi perennemente puntato addosso l’occhio inquisitore del Grande Fratello, il Partito. Sembra quasi di sentire il muggito di approvazione del dio, quando il politico di turno sbatte in faccia all’avversario le verità che quello non vuole sentire, quando l’urlatore di turno con un occhio ammicca a noi e con l’altro al suo Signore, il partito, e attende il plauso per il colpo assestato.

L’avversario sbaglia sempre, l’avversario ha sempre torto. È statisticamente possibile una cosa del genere? Non dico moralmente, razionalmente, umanamente, ma statisticamente possibile? Questa è la Forza-Vampiro, la forza negatrice di ogni possibilità di reciproca comprensione, la forza che ci fa dialogare con l’avversario sempre a denti stretti, con una smorfia di disgusto dipinta in faccia, con il veleno sotto la lingua, con lo stiletto tra i denti.

Questo è il regno dove il Vampiro dilaga, quello dell’intolleranza per la stessa esistenza dell’avversario e delle sue idee, o dell’illusione della superiorità assoluta delle nostre idee sulle sue, che è la stessa cosa. Il Vampiro, nello svolgimento delle sue attività predatorie, si ispira alle abitudini sociali che predilige, ritenendo di interpretare correttamente questi messaggi provenienti dalla società civile e presumendo anche di ricevere un autorevole avallo da parte di personaggi pubblici i cui comportamenti sembrano in linea con i ‘valori’ vampirici. In parole più povere, questi esempi servono a incoraggiare forme vampiriche di convivenza, cioè l’ultima cosa di cui l’uomo che aspira alla giustizia ha bisogno.

Tra l’altro, questi comportamenti allontanano da noi chi fa politica. Per un motivo molto semplice: perché noi non possiamo permetterceli. Nella vita comune, nella vita di tutti i giorni, noi non possiamo permetterci di radicalizzare nessuno scontro, di negare dignità all’esistenza di nessuno, di imporre la superiorità delle nostre idee a nessuno. Noi dobbiamo mediare in continuazione, noi dobbiamo tenere la voce molto bassa perché alzarla significherebbe andare incontro a rischi e guai per noi e per le nostre famiglie, noi non possiamo permetterci di sostenere, come fanno loro, che la colpa è tutta dall’altra parte e che l’unica verità è sempre la nostra. Il loro è un mondo di fiaba, in cui queste cose si possono dire e proclamare come in una recita scolastica, il nostro, invece, è il mondo reale. Il clima di conflitto, l’ansia del conflitto, l’obbligo del conflitto non è il nostro mondo.

La democrazia potrà anche essere questa, ma chiunque lotti per conquistare uno spazio vitale a chi è mansueto, a chi è innocente, a chi è pacifico, a chi non concepisce lo scontro permanente, non potrà avvalersi in alcun modo di questa concezione della democrazia. Questi comportamenti promuovono il vampirismo. Trasmettono confusione, avallano la guerra tra gli esseri umani, favoriscono processi imitativi da parte di chiunque pretenda di fondare un potere personale proprio sulla confusione e sulla guerra.

Questi comportamenti insegnano i principi di una gestione disinvolta della coerenza logica, anzi indicano quanto sia utile l'uso tattico delle imperfezioni logiche e disegnano dimensioni in cui è normale non rispondere razionalmente a una domanda razionale ed è sempre possibile coprire un proprio difetto attribuendo un difetto peggiore all'avversario. In conclusione, il mondo dei Vampiri si nutre a sazietà dell’incapacità politica di concepire forme di comunicazione in cui non si sia sempre e comunque costretti a dire cose negative sugli avversari, ad accendere la miccia dell’avversione contro di loro e a descriverli perennemente come dei furfanti o dei mentecatti, ma si possa scegliere, invece, di dire e fare cose costruttive, propositive e giuste senza preoccuparsi troppo di mobilitare gli animi di chi ascolta contro l’odiato nemico. Trovare una strada in questo senso non solo avrebbe l’effetto di offrire un "buon esempio" ai cittadini di un Paese che vuole fondare il proprio progresso su principi civili di rispetto reciproco, ma getterebbe le basi di una politica talmente nuova, originale, rivoluzionaria da essere sicuramente vincente.

Per ogni approfondimento sul vampirismo energetico e sulla Forza-Vampiro, vedi il volume Vampiri energetici, Edizioni il Punto d’Incontro 2002 (in particolare, sui temi trattati sopra, la parte Vampirismo e aggressività sociale, pag. 165)

 

 

 

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