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Quando
a vincere è la vita: In
racconti sospesi tra metaforici “non spazi” kafkiani – come
l’iniziale Il
grande vetro senza uscita, angosciosa ricerca di luce salvifica
– ed ambientazioni realistiche che, negli esiti migliori, rimandano a
Pasolini – Angelo,
pervaso dal possente, misterioso furore di supremazia sociale prima che
sportiva, sullo sfondo di una periferia che “odora di grasso, vernice e
sudore”, con il suo romanesco fatto di termini mutanti,
autoreferenziali, al di là di ogni codice linguistico, anche vernacolare
– la Morte (“grande divoratrice…gli uomini non le appartengono, è
la vita a prestarli a lei”) si annida nelle sue manifestazioni più
fisiche e brutali come in quelle più allusivo/metaforiche di tragiche
eutanasie di ideali, utopie, illusioni. Le dà scacco, nelle
bibliche/bergmaniane sette mosse del titolo, la fiducia convinta di Mario
Corte nei valori vitali di un’umanità libera, trasgressiva, altruista,
umile (“sentimento potente, è l’umiltà a generare la vera autorità”),
in nome e per conto della quale il Messia può tornare ad incarnarsi,
magari nelle fattezze di un enigmatico scrittore disposto a testimoniare
– e a scrivere – che solo un costante esercizio della giustizia è in
grado di creare i presupposti affinché, contro ogni cieco e subdolo
Potere, si rinnovi il dono della Fede (La riunione). Ma la speranza più intima l’autore la ripone
negli adolescenti, vera costante che ci pare sottenda e leghi gran parte
delle storie. A tracciare la strategia e a muovere mosse letali per i
pezzi neri e la loro tetra Regina sono, così, Walter (Willoughby,
dove sei?) – opprimenti i suoi sogni epici/edipici e il
disperato bisogno di salvare un dialogo con un padre condannato a morte
dai veleni di scomode verità mai rivelate – la nascitura di Ballando
con lei, che il padre lo ama in modo sconfinato, è nelle sue
viscere e nel suo sangue (“impossibile strapparle la possibilità di
venire sulla terra e ballare in braccio a lui”…alla fine (stra)vince
una risata che dissolve in proiezione fantastica il plotone d’esecuzione
di una buzzatiana guerra indefinita), Michelino, innamorato
di un genitore/bambino che crede “alla magia, ai dischi volanti,
ai viaggi nel tempo”, capace come lui di scoprire le profondità del
cielo, le bizzarre forme delle nubi, l’orizzonte lontano (Expositio
ad bestias), infine i giovanissimi protagonisti del racconto più
felice e intrigante della raccolta, Una
1100 Belvedere, ellittica trasfigurazione onirica sospesa fra
passato e presente (ricorda il pirandelliano Una
giornata), sintesi sorprendente di un’esistenza (ri)vissuta con
l’ossimorico “sguardo chiaroveggente della memoria” che permette ad
un genitore di giocare con la propria figlia – faustiano attestato di
amore/possesso esclusivo – avendone la medesima età. Con simili
giocatori, fantasiosi e imprevedibili, coraggiosi e sinceri, la Vita vince
facilmente la partita. Marco Camerini
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