Mario Corte

 

CITAZIONI

Giunta

Pag. 63
Giunta era del tutto incapace di accettare che qualcuno potesse manifestare qualche riserva, anche minima, su di lei; quando ciò avveniva, lei conosceva una sola opzione: entrare in guerra. E a quel punto si trattava di una guerra senza quartiere e senza esclusione di colpi, nella quale poteva contare sempre sulla ferrea e spietata alleanza di sua madre, la signora Jole, che la supportava nell’individuare quantità inimmaginabili di difetti, veri o falsi, nei nemici di turno, fino all’annientamento della loro immagine personale e sociale.

Pag. 111
Giunta, soddisfatta la sensuale brama di conoscere i fatti e di sguazzare nei primi commenti, tornò a farsi qualche scrupolo. In realtà, i suoi dubbi riguardavano Mario, al quale non avrebbe voluto fare del male, ma poiché sapeva quanto la madre odiasse il “fratello fortunato” e disapprovasse quel suo affetto per lui, finse di avere scrupoli per il nipote. Ma la cosa le riusciva stonata perché in realtà non ne aveva. Non poteva averne, perché verso Michelino sapeva di avere una colpa grave, e chi si sente in colpa, anziché voler riparare, quasi sempre si limita a odiare l’oggetto delle propria colpa.

Pag. 113
Anche per questo aveva cominciato a nutrire strane emozioni mentre vedeva crescere Michelino. Con Raul no, non le era capitato. Raul era più rozzo. Sembrava quasi un uomo. Raul era attonito, come un contadino che ha preso troppo sole. Non la prendeva allo stomaco come Michelino. Lui era delicato, tenero. Innocente. Sempre sorridente, come un angelo. E soprattutto, pieno di energia. Un’energia che per lei era un odore, quasi un sapore che pregustava e che le muoveva dentro qualcosa di torbido e di irresistibile, come un afrodisiaco, come una droga. Sapeva che quello che provava era blasfemo. Sentiva di essere una maniaca. Ma per lei non essere normale era una cosa naturale. La normalità non poteva appartenerle, con quella madre che aveva. La madre le aveva insegnato tutti i piaceri più perversi: godere era godere dell’umiliazione degli altri, non del rapporto con gli altri, godere era piegare qualcuno come si piega un animale, trinciare la dignità degli altri dicendone tutto il male possibile, fino a fare delle loro anime delle pezze sanguinolente che non hanno più parvenza umana, dei tagli di carne da bollito, che avranno pure una vita loro, ma che devono servire solo da pasto. La madre era una cannibale. E Giunta non voleva essere meglio di lei. Sapeva di esserlo, o se non altro di averne l’aspirazione, ma non voleva. Odiava troppo quella madre per volerla superare, per diventare un essere umano. No: la madre doveva ritrovarsi di fronte esattamente il mostro che aveva creato. Non intendeva redimersi per farle un favore.