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Mario Corte
CITAZIONI
Giunta
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Giunta
era del tutto incapace di accettare che qualcuno potesse manifestare
qualche riserva, anche minima, su di lei; quando ciò avveniva, lei
conosceva una sola opzione: entrare in guerra. E a quel punto si trattava
di una guerra senza quartiere e senza esclusione di colpi, nella quale
poteva contare sempre sulla ferrea e spietata alleanza di sua madre, la
signora Jole, che la supportava nell’individuare quantità
inimmaginabili di difetti, veri o falsi, nei nemici di turno, fino
all’annientamento della loro immagine personale e sociale.
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Giunta,
soddisfatta la sensuale brama di conoscere i fatti e di sguazzare nei
primi commenti, tornò a farsi qualche scrupolo. In realtà, i suoi dubbi
riguardavano Mario, al quale non avrebbe voluto fare del male, ma poiché
sapeva quanto la madre odiasse il “fratello fortunato” e disapprovasse
quel suo affetto per lui, finse di avere scrupoli per il nipote. Ma la
cosa le riusciva stonata perché in realtà non ne aveva. Non poteva
averne, perché verso Michelino sapeva di avere una colpa grave, e chi si
sente in colpa, anziché voler riparare, quasi sempre si limita a odiare
l’oggetto delle propria colpa.
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Anche
per questo aveva cominciato a nutrire strane emozioni mentre vedeva
crescere Michelino. Con Raul no, non le era capitato. Raul era più rozzo.
Sembrava quasi un uomo. Raul era attonito, come un contadino che ha preso
troppo sole. Non la prendeva allo stomaco come Michelino. Lui era
delicato, tenero. Innocente. Sempre sorridente, come un angelo. E
soprattutto, pieno di energia. Un’energia che per lei era un odore,
quasi un sapore che pregustava e che le muoveva dentro qualcosa di torbido
e di irresistibile, come un afrodisiaco, come una droga. Sapeva che quello
che provava era blasfemo. Sentiva di essere una maniaca. Ma per lei non
essere normale era una cosa naturale. La normalità non poteva
appartenerle, con quella madre che aveva. La madre le aveva insegnato
tutti i piaceri più perversi: godere era godere dell’umiliazione degli
altri, non del rapporto con gli altri, godere era piegare qualcuno come si
piega un animale, trinciare la dignità degli altri dicendone tutto il
male possibile, fino a fare delle loro anime delle pezze sanguinolente che
non hanno più parvenza umana, dei tagli di carne da bollito, che avranno
pure una vita loro, ma che devono servire solo da pasto. La madre era una
cannibale. E Giunta non voleva essere meglio di lei. Sapeva di esserlo, o
se non altro di averne l’aspirazione, ma non voleva. Odiava troppo
quella madre per volerla superare, per diventare un essere umano. No: la
madre doveva ritrovarsi di fronte esattamente il mostro che aveva creato.
Non intendeva redimersi per farle un favore.
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