Mario Corte

 

CITAZIONI

Jole

Pag. 84
La verità era che la signora Jole cuoceva a fuoco lento dentro un crogiolo di frustrazione e di infelicità che aveva preso a bollire senza requie dopo la scomparsa del figlio prediletto, l’unico nato dall’amore. In qualche modo lei non era sopravvissuta a quella disgrazia, e ne era uscita disseccata dentro, incattivita, avvelenata. Aveva perso la nozione del tempo e con essa il conto degli anni che aveva. Non desiderava ringiovanire, come il marito, ma solo “fare la signora” per rivalersi contro un destino che l’aveva tradita e contro un Dio sulla cui malvagità non nutriva più alcun dubbio, un padre sadico che gioisce del male dei propri figli. Per lei, ormai, contava solo l’oggi da godere oggi. Ma poiché non sapeva godere di null’altro che non fosse l’odio verso i suoi fantasmi interiori, che di volta in volta prendevano i tratti di un diverso nemico terreno da umiliare e abbattere, Jole vagava in una tenebra sconfinata, aumentando la propria solitudine in misura eguale all’aumento del suo potere.
Da giovane era stata bella e desiderata, e tuttora, anche grazie ai quasi vent’anni che la separavano dal marito, manteneva intatte certe tracce del suo carisma. Ma quando si guardava allo specchio non distingueva più alcun segno, né consolante né deprimente, della sua età, ma solo le brutture di un’anima deformata e oppressa da quella vita fittizia, da quella condizione di risorgente che per continuare ad alzarsi ogni giorno dalla tomba deve continuare a placare la sua inarrestabile sete di sangue. Un giorno che non ricordava e che non voleva ricordare, aveva varcato il confine che divide le persone comuni da quelle vaccinate contro i sentimenti umani, che ormai per lei non erano più una risorsa, ma un ingombro, una complicazione inutile e dannosa, un dente marcio da cavare. E l’infelicità della sua condizione non si accontentava dell’esercizio quotidiano dell’astio e della malevolenza, ma la spingeva anche a combattere gli intenti buoni che leggeva negli altri, come se avesse ricevuto il mandato di debellare anche in loro ogni speranza, ogni cosa delicata, ogni scrupolo e ogni intento di fondarsi su ciò che è giusto. Dovunque guardasse, non poteva fare a meno di augurarsi che anche gli altri morissero dentro, che sentissero spegnersi ogni sentimento e lo sostituissero, come aveva fatto lei, con tutte le vuote contraffazioni del sentimentalismo.

Pag. 91
Di Mario lei non sopportava nulla: la modestia, la laboriosità, la forza di non chiedere mai niente per sé e di rispondere alla sufficienza con cui era stato sempre trattato con quella paziente e indomabile dedizione alla famiglia e al lavoro. Più lei lo abbassava più lui le voleva bene, più lei lo ignorava più lui si moltiplicava, per lei e per gli altri. 
In quel figlio Jole non aveva mai riconosciuto nulla di sé: non poteva essere vero, uno così, e allora doveva essere falso, il più falso dei suoi figli, un personaggio di cui sospettare e dal quale guardarsi come da un latente nemico. Lo avrebbe preferito un buono a nulla o un furbastro che pensa solo a se stesso e ai propri comodi, perché almeno in quel modo non avrebbe dovuto nutrire per lui né riconoscenza né stima né alcun sentimento positivo. E invece quando la gente diceva “Che figlio quel Mario!” per ricordarle la fortuna di essere madre di una tale creatura, lei provava una lancinante fitta di dolore e un cupo senso di umiliazione per l’obbligo, impostole dalla società, di dover considerare quel figlio un dono, anziché un peso. 
Jole non voleva concedere né riconoscere nulla a Mario perché non lo amava: non c’era spazio per lui nel suo cuore, e se lei non lo amava nonostante le qualità che tutti gli accordavano, allora voleva dire che la colpa era sua. Ma se lui, invece di fare sempre la cosa giusta, per una volta scivolava e faceva un danno irreparabile, allora la partita poteva ricominciare, e lei poteva approfittare della insperata circostanza per girare la leva del suo non amore nella posizione dell’odio, perché la colpa di non amare chi merita di essere amato è solo di chi non ama, ma odiare può essere colpa di chi si è fatto odiare. 
Ora che tutto si era compiuto, gli sguardi smarriti della gente mentre lei svelava il vero volto di quel figlio che tutti avevano esaltato e che si era rivelato una moneta falsa, la ripagavano delle mortificazioni che aveva dovuto subire. E la più raffinata vendetta contro quel pubblico che tanto aveva ammirato Mario si perfezionava nel giurare nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo, alla presenza di chiunque, che lei non avrebbe voluto vederlo mai più, neanche in punto di morte, e nel dichiarare, sempre evocando la Trinità, di avere ormai due soli figli: Armando e Giunta. 
Se avesse potuto, Jole avrebbe ufficializzato pubblicamente anche la sua intenzione di diseredare legalmente quel figlio traditore, ma poiché tutti sapevano che le risorse dei quattro superstiti di quella famiglia traevano origine proprio dal disinteressato altruismo del figlio ripudiato, stimò più prudente limitarsi a sancire la cancellazione del nome di Mario dal libro della vita.